Da circa una decina di anni, quello della colpa grave è diventato uno dei temi centrali della responsabilità del medico.

Dalla colpa grave discende, ad esempio, la temuta responsabilità erariale, per la quale la Corte dei Conti può condannare il medico a risarcire il danno causato all’ente pubblico per cui lavora.
La colpa grave, inoltre, è il punto fermo per legittimare l’azione di regresso della struttura o di rivalsa dell’assicurazione nei confronti del medico che ha errato: ciò significa che, in caso appunto di errore commesso dal medico con colpa grave, l’ospedale e la compagnia assicuratrice, dopo aver pagato il paziente danneggiato, possono chiedere al sanitario a loro volta il risarcimento.
La legge stabilisce, ancora, l’obbligo di assicurazione per tutti i medici, per la responsabilità professionale, per il caso di errori commessi con colpa grave.
La mancata osservanza delle linee guida e delle cosiddette buone pratiche cliniche, secondo la giurisprudenza, molto spesso comporta il riconoscimento della colpa grave del sanitario, e addirittura, da ultimo, lo scudo penale per i medici (DL 44/2021) prevede la responsabilità del medico vaccinatore ed in generale la responsabilità del medico, nel contesto dell’emergenza sanitaria COVID-19, solo per colpa grave.
Ma cos’è la colpa grave?
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ha fatto il punto della situazione a riguardo: “si può parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, quando cioè il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente”.
Tale deviazione deve essere accertata sulla base dell’esame di diversi fattori, che la sentenza ha dettagliatamente elencato a titolo di esempio:
– le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado specializzazione
– la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare
– l’accuratezza nell’effettuazione del gesto medico
– le eventuali ragioni di urgenza
– l’oscurità del quadro patologico
– la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche
– il grado di atipicità o novità della situazione data.
In definitiva, la colpa grave sembra essere l’errore marchiano, commesso quando pure le condizioni ambientali e cliniche erano sufficientemente chiare ed agevoli.
Evidentemente, tuttavia, rimane sempre un’aura di incertezza e di soggettività, che non può che essere definita dal Giudice caso per caso, lasciando così però ancora parzialmente indefiniti i contorni di questa responsabilità, con tutto ciò che ne consegue anche per la serenità o inquietudine del medico e del sanitario.