È un dato di fatto che l’avvento della pandemia ha dato una spinta eccezionale al sistema di tele e videocomunicazioni, in tutto il mondo.
Anche in ambito sanitario si sono visti immediatamente alcuni risultati, legati soprattutto all’accesso alle cure da remoto ed alle visite e consulenze attraverso la modalità detta di telemedicina, cioè appunto l’erogazione di servizi sanitari da remoto, che è divenuta tanto importante e seguita, da richiedere un incontro apposito nella conferenza Stato-Regioni, che ha abbozzato la disciplina di diversi tipi di accesso ai servizi sanitari, come quello della televisita, del teleconsulto medico tra professionisti, della teleconsulenza medico-sanitaria, della telerefertazione.
Evidentemente, non può esservi alcun obbligo per il medico di operare in telemedicina, ed anzi quest’ultima non potrà mai soppiantare il rapporto diretto tra professionista e paziente; tuttavia molte Aziende Sanitarie, per limitare l’esposizione del proprio personale e dell’utenza a rischi di contagio, hanno fortemente caldeggiato l’uso delle telecomunicazioni in tutti i casi possibili.
Si è aperta così una diversa ed ulteriore problematica, legata alla possibilità di registrazione delle televisite da parte dei pazienti.
Certamente questa possibilità già esisteva nei contatti tra medico e paziente “in presenza”, nelle visite ordinarie.
Ora, però, la possibilità di registrazione – anche all’insaputa del medico – si moltiplica, anche solo per la facilità di registrare comunicazioni telefoniche e video con i programmi esistenti già nelle applicazioni di videochiamata.

Ma è lecito registrare la televisita?
In realtà, non esistono norme specifiche sulla materia, sicché ci si deve rifare la disciplina generale in tema di registrazioni delle conversazioni.
La suprema Corte di Cassazione da lungo tempo ha sancito che la registrazione di un colloquio è lecita se effettuata in un “luogo pubblico” o “aperto al pubblico” da soggetti presenti alla conversazione stessa. In altre parole chiunque può registrare una conversazione se interviene attivamente nel corso della stessa, oppure se è ammesso ad assistere, anche in assenza del consenso e all’insaputa di tutti i partecipanti.
La conversazione, tuttavia, non può essere diffusa (ad esempio tramite social networks), ma può essere utilizzata ai fini di giudizio.
Bisogna, allora, capire quali sono i luoghi aperti al pubblico.
Ancora la Corte di Cassazione precisa che lo studio professionale di un medico è un luogo privato, e dunque la conversazione non può essere registrata.
Tuttavia gli ospedali, le cliniche e gli ambulatori, sia pubblici che privati, il cui accesso è consentito alla generalità degli utenti, sono considerati luoghi aperti al pubblico, sicché il paziente ben potrà registrare la visita o televisita, per riascoltarla o rivederla come “pro memoria” o anche, purtroppo, per usarla in giudizio.
Dunque: la telefonata al medico di base non è registrabile, ma la televisita dello specialista ospedaliero… sì.
Si ritiene, dunque, che sia assolutamente urgente e prioritario intervenire su questa lacuna legislativa, e che si pronunci il garante della privacy e soprattutto il Parlamento, per disciplinare i casi e soprattutto i limiti entro cui i pazienti potranno registrare le proprie visite.