Esiste un obbligo delle Compagnie assicuratrici a stipulare polizze a favore dei medici per la responsabilità professionale?
In ambito sanitario, il decreto Balduzzi del 2012 ha stabilito espressamente, per la prima volta, l’obbligo dei medici che svolgono la loro attività in regime di libera professione a contrarre una polizza assicurativa per la responsabilità professionale, a tutela dei pazienti e dei terzi.
Successivamente, nel 2017, con l’entrata in vigore della legge Gelli Bianco è stato esteso l’obbligo assicurativo per tutti i medici, anche dipendenti di struttura ed ospedalieri, pure se con differenti forme e limiti.
Nello specifico, oggi per i medici dipendenti è chiesto (anzi, imposta per legge) di attivare una polizza assicurativa che copra per lo meno l’ipotesi di errore commesso con colpa grave, vale a dire l’errore “inescusabile”, quello marchiano e grossolano, mentre per i liberi professionisti la polizza deve coprire anche la cosiddetta colpa lieve, cioè l’inesattezza sottile che ha comportato un danno al paziente.
Ma esiste, dall’altro lato, un obbligo delle compagnie assicurative ad accettare le richieste di copertura assicurativa dei medici?
In altri termini, esiste un obbligo a contrarre da parte delle assicurazioni?
In realtà, no.
Ad oggi, per legge l’unico tipo di polizza assicurativa che una compagnia non può rifiutare di attivare ad un soggetto che lo chieda è quello di RC auto.
In termini semplici (e semplicistici): se una persona entra in un’agenzia di assicurazione e chiede di assicurare la propria auto, l’agenzia non può rifiutare, mentre se è un medico ad entrare, allora sì, l’agente può rifiutare di attivare una polizza di responsabilità professionale.
Ma che conseguenza pratiche ha questo mancato obbligo?
In realtà, esso presenta delle ricadute importantissime: è evidente che si crea un grandissimo squilibrio tra medico-assicurato e compagnia assicuratrice.
Le imprese assicuratrici, in questo panorama, possono infatti decidere se e chi assicurare, stabiliscono unilateralmente le condizioni, i limiti e i premi delle polizze, e spesso si svincolano dagli stessi contratti.
Ed infatti, negli ultimi anni, stiamo assistendo ad una vera e propria fuga delle assicurazioni dal campo medico e sanitario, complice l’aumento delle cause intentate da ex pazienti oppure eredi e/o congiunti del paziente per il risarcimento danni.

Inoltre, proprio a causa del fatto che le assicurazioni non vogliono assicurare i professionisti e le strutture, assistiamo ad una raffica di disdette delle assicurazioni nei confronti dei medici e dall’altra parte alla presa in carico diretta di molte strutture delle cause civili di risarcimento, in regime cosiddetto di autoassicurazione, cioè senza avere alle spalle una compagnia che copra il rischio e garantisca il pagamento.
Quella dell’autoassicurazione, espressamente prevista come possibilità anche dalla Legge Gelli, dunque non è stata una scelta pianificata o costruita; si è trattato piuttosto di una risposta all’emergenza causata dalla crescita dei premi assicurativi e, spesso, anche dalla mancanza di un assicuratore disposto a prendere il rischio di perdere soldi nella malasanità degli ospedali italiani.
Ciò spiega il ritiro delle imprese assicuratrici italiane da un mercato dove soltanto pochi operatori esteri sono rimasti in attività.
È evidente dunque il vuoto normativo creato dal Legislatore stesso, che sta creando gravissimi problemi di tenuta economica del sistema sanitario.
È auspicabile, dunque, che il parlamento prenda in esame questo problema e trovi una soluzione che tuteli, oltre che i pazienti, anche i medici e le stesse aziende ospedaliere.