Un paziente che voglia chiedere il risarcimento del danno per pretesa malasanità può agire in due direzioni: può rivolgersi alla struttura sanitaria (ospedale, clinica) oppure – anzi, in aggiunta – può chiedere il risarcimento direttamente al medico (o ai medici) che l’ha curato.
Ma in quanto tempo questa pretesa si prescrive?
La Legge Gelli Bianco prevede un doppio binario.
L’art. 7 della legge prevede infatti che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che … si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria … risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”, mentre “l’esercente la professione sanitaria … risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile”.
Che significa?
Significa che la responsabilità dell’ente è qualificata come “contrattuale”, e dunque – processualmente – il paziente avrà 10 anni per poter proporre causa di risarcimento, mentre per il medico la responsabilità è “extracontrattuale”, ed il paziente ha “solo” 5 anni per poter fare causa al sanitario, salvo che quest’ultimo “abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.
Purtroppo peraltro la legge non è chiara nel delimitare le varie casistiche, e dunque rimangono ampie zone di grigio, che si prestano alle interpretazioni più diverse sul punto.
Ma ammettendo anche che il termine di prescrizione sia di 5 anni, quando si può considerare al sicuro il medico?
Purtroppo, non dopo cinque anni rispetto agli eventi.
In effetti la giurisprudenza afferma che il termine quinquennale inizia a decorrere non dai fatti, ma dal momento in cui il paziente ha la consapevolezza di aver subito un danno ingiusto.

Facciamo un esempio: il paziente ha subito un intervento chirurgico il 3 febbraio 2010, e successivamente ha affrontato dei cicli di terapia, fino all’ottobre 2010.
Non ha recuperato del tutto la funzionalità pregressa, e si è rivolto ad un altro medico, che gli ha prescritto nuove terapie, che sono durate fino a giugno 2011.
Non soddisfatto dei risultati ottenuti, il paziente si è rivolto ad un avvocato, che lo ha indirizzato verso un medico legale. La relazione del medico legale è datata 20 dicembre 2011.
Solo da questo momento iniziano a decorrere i 5 anni di prescrizione.
Evidentemente, vi sono dei casi in cui il tempo per “prendere consapevolezza” del danno sono ancora più lunghi, come a esempio le ritardate diagnosi, i casi oncologici, le problematiche ostetriche, i problemi odontoiatrici.
Allora, nel nostro caso, il 20 dicembre 2016 il medico sarà sicuro di non poter ricevere più lamentele o atti giudiziari?
Non per forza.
Basta in effetti una sola lettera raccomandata con la quale si chiede il risarcimento del danno per azzerare il tempo e far ripartire il calcolo.
Se dunque l’avvocato del paziente manda una lettera al medico nel gennaio 2014 con la richiesta risarcitoria, il termine riparte da zero, e dunque l’azione si prescriverà nel gennaio 2019.
è molto semplice, dunque, superare il termine dei 5 anni.
Ciò, a maggiore ragione, se il caso può essere configurato come reato: in questa ipotesi l’art. 2947 del codice civile stabilisce: “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile”.
Se dunque il paziente imputa al medico di avergli procurato delle lesioni, o peggio se i parenti chiedono che sia dichiarata la responsabilità del medico per la morte del loro congiunto, i 5 anni non saranno più sufficienti, ed i tempi si allungheranno a dismisura.
È evidente di conseguenza che il medico rischia di trovarsi sotto scacco potenzialmente “ad infinitum”.
Per questo deve pensare a tutelare la propria posizione e la propria professionalità molto prima dell’insorgenza dei pericoli e dei sinistri.
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