L’emergenza epidemiologica in atto sta mettendo a dura prova il Servizio Sanitario Nazionale.
Il virus si diffonde, i costi di gestione aumentano, le strutture sono sovraccariche, il personale è stremato.
Medici, infermieri e operatori sanitari sono tutti in prima linea, costantemente esposti al rischio di contagio ma senza potersi permettere il lusso di ammalarsi.
In questa situazione di crescente emergenza, i limiti fisiologici di capienza delle strutture e disponibilità del personale impongono l’adozione di scelte tanto drastiche quanto irrinunciabili, che in condizioni di normalità richiederebbero lunga ponderazione ma che l’attuale contesto di perenne urgenza costringe ad assumere con rapidità ed impellenza.
Paura e impotenza contribuiscono ora ad alimentare la fiducia dei cittadini nella bontà dell’operato di governanti e sanitari.
Tuttavia, le opinioni sono mutevoli e il tanto atteso ritorno alla normalità favorirà anche la riemersione dello scetticismo umano e dell’attitudine al rimprovero che spesso caratterizzano, sulla base dell’erroneo travisamento del diritto alla salute in diritto alla vita, l’estenuante ricerca di un responsabile per quegli spiacevoli eventi il cui accadimento si fatica sempre più ad accettare.
Nel contesto storico odierno, alla luce dell’emergenza epidemiologica che stiamo vivendo, il tema della responsabilità medica è quanto più attuale e impone un ripensamento di talune categorie del diritto, prima tra tutte la scriminante dello stato di necessità nella sua declinazione del «soccorso di necessità», da sempre dibattuto e controverso perché erige il terzo ad arbitro della sorte altrui, con preferenza per taluno a sacrificio e scapito di altri.
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