
Il DL 44/2021, convertito il 28 maggio con alcune modificazioni con Legge n 76/2021, ha introdotto delle significative novità per i sanitari.
Non ci riferiamo al cosiddetto scudo penale, la cui portata è tutto sommato molto limitata, che è stato, a nostro sommesso avviso, accolto con eccessivo entusiasmo da parte di molti medici – che forse speravano o credevano in una difesa più ampia – e che però ha anche rinfocolato dei forti malumori delle associazioni dei pazienti e di parte dell’opinione pubblica, che ritengono (a torto, peraltro) che i medici ed i sanitari andranno impuniti per qualsiasi cosa accada.
No, non ci riferiamo allo scudo penale, che porterà probabilmente all’effetto deflagrante di distanziare ulteriormente la figura del medico (visto talvolta come intoccabile ed ingiustamente privilegiato) e del paziente, che potrà invece invocare di essere caduto vittima della malasanità ed in definitiva vittima del potere “forte”.
No: parliamo invece dell’obbligo vaccinale per tutti i sanitari, cioè dell’unico articolo cogente e di effetto immediato del Decreto Legge, almeno relativamente al comparto “sanità”.
L’art. 4 del Decreto, in effetti, confermato integralmente con la legge di conversione, prevede espressamente che sino alla fine dell’emergenza sanitaria, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2”.
L’obbligo è talmente forte da costituire addirittura requisito essenziale per l’esercizio della professione: ciò comporta che, per espressa previsione legislativa, l’inosservanza dell’obbligo vaccinale “determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.
Il che significa l’allontanamento dalla propria mansione (con rischio di essere sospesi senza retribuzione), oppure la chiusura temporanea del proprio studio professionale.
Ancora la legge prosegue, affermando che solo in caso di “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione non è obbligatoria e può essere omessa o differita”.
Ebbene, questa norma, passata sotto traccia, rispetto almeno al clamor alzato dallo scudo penale, ha in realtà una portata dirompente.
Per la prima volta, in effetti, viene limitata la libertà personale di una determinata categoria di persone, espressamente al fine di tutelare la salute pubblica, in forza della funzione professionale e pubblica di quella stessa categoria.
In altre parole, nel bilanciamento tra i diritti di autodeterminazione del singolo e la sicurezza della salute della società, vengono sacrificati i primi per il maggior peso della seconda.
Invero, questa non è una novità: già dalla nascita della nostra Costituzione è previsto, in alcuni casi, che l’interesse della collettività vinca sull’interesse del singolo.
Già abbiamo avuto modo di evidenziare che l’art. 2 della Costituzione prevede che, se da un lato “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali”, dall’altro lato lo stesso Stato “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Ed in effetti, è per questo principio che sono legittimi alcuni trattamenti limitativi della libertà, come i Trattamenti Sanitari Obbligatori.
Tuttavia, questa è la prima volta che espressamente viene previsto un obbligo in capo ad una intera categoria di persone, limitativo della libertà di decisione sul proprio corpo, per il superiore bene pubblico.
Ma se non fosse questa (o almeno, non solo questa) la ratio della norma?
Forse esiste un’altra spiegazione, più filosofica che giuridica.
Sembra che con questa legge si sia cambiato il paradigma, e pare si sia passati dal principio dall’eccezionalità della limitazione delle libertà fondamentali, per giungere a quello della responsabilità connaturata con la funzione: se la professione medica e sanitaria è infatti destinata a curare le persone, non può essere proprio il medico o sanitario il veicolo (per quanto involontario) di patologie di cui potrebbe essere prevenuto il contagio.
Pare in altre parole che si attribuisca un valore intrinseco alla scelta, da parte del singolo, di diventare medico o sanitario, che includerebbe – massimamente con il giuramento di Ippocrate, per il medico – quella di non nuocere in alcun modo ai pazienti ed alla collettività, e dunque di non diventare veicolo di malattia.
Anche questo potrebbe diventare, secondo tale possibile lettura della norma, un modo per accertare ad esempio la diligenza professionale; allo stesso modo pure questo principio potrebbe aiutare a far recuperare la coscienza del proprio ruolo al medico ed al sanitario.
Così, vedremo nel futuro se si è trattato di una legge del tutto eccezionale ed isolata, oppure se, per lo stesso principio di salute pubblica (ma anche di funzione di cura e crescita di una parte importantissima della collettività, i bambini), anche gli insegnanti – solo per fare un esempio – verranno chiamati a vaccinarsi (per la salute dei bimbi) o a prepararsi costantemente – ad esempio affrontando periodicamente delle piccole prove – a dare il meglio di loro (cioè a comportarsi con la massima diligenza professionale) nell’insegnamento e nella crescita degli alunni.