Da anni in Italia si discute sulla possibilità di inserire nell’ordinamento un obbligo di accedere ad alcune vaccinazioni determinate, disposto per legge, finalizzato sia a tutelare gli individui e la società nel suo complesso, sia ad abbattere i costi sanitari legati alla cura di patologie gravi per le quali esiste il vaccino e che colpiscono la fascia di popolazione non immunizzata.
Lo stato dell’arte
La questione è tornata prepotentemente all’attenzione pubblica nell’anno della pandemia, che così tanto è costata in termini umani, sanitari, sociali, economici, di limitazione delle libertà individuali.
Nonostante le proposte e discussioni, tuttavia, sul frangente vaccinazioni ad oggi purtroppo non esistono ancora linee guida certe ed univoche in materia.
Anche per quanto concerne il comparto del lavoro, si sono susseguite voci insistenti sulla possibilità quantomeno di scoraggiare la mancata vaccinazione contro l’infezione da COVID-19, ad esempio ipotizzando per il datore di lavoro privato (non si è mai parlato di datore di lavoro statale) la facoltà di licenziamento per il caso in cui il dipendente scelga di non vaccinarsi.
Negli ultimi mesi, ancora, si sono rincorse notizie – spesso poi ritrattate o smentite – relative all’obbligatorietà della vaccinazione anti COVID-19 per infermieri e sanitari.
Tale ultima questione, si ritiene, riveste un’importanza strategica, ove si pensi al fatto che i sanitari sono stati i primi destinatari del vaccino – per la loro continua esposizione al virus – e che essi, anche per questo, rivestono il ruolo, di fatto, di “precursori” delle campagne vaccinali, e fungono da esempio e da faro per tutta la popolazione.
Quali i diritti in gioco
Evidentemente la questione dell’obbligo d’immunizzazione tocca molti aspetti, tra i quali spiccano il dovere di solidarietà sociale, la salute pubblica, il diritto di autodeterminazione del singolo e – non da ultimo, nel caso del COVID-19 – la tenuta economica del Sistema Sanitario Nazionale.
Il ragionamento, dunque, non può prescindere dalla considerazione e applicazione di quei principi costituzionali tanto invocati quanto bistrattati e talvolta piegati alle logiche e ideologie dell’uno o dell’altro legislatore che si sono succeduti negli ultimi decenni.
A ben vedere, l’art. 2 della Costituzione contiene tutti gli spunti necessari per comprendere che, se da un lato “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali”, dall’altro lato lo stesso Stato “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
I doveri, dunque, sono al centro dello stato di diritto, tanto da essere considerati come “inderogabili”, necessario dazio per una vita di comunità.
Già questo, invero, potrebbe rivelarsi dirimente.
In ogni caso, scendendo più nel concreto, la legislazione speciale di riferimento è quella legata alla tutela del lavoratore (e dei terzi) nell’ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa, sia essa attività rivolta stabilmente verso il pubblico, come richiamato dal codice civile (art. 2087), dal TUSL (D. Lgs. 81/2008) e, da ultimo, dal decreto ristori dell’ottobre 2020 (DL 137/2020).
In linea generale, il datore di lavoro infatti ha l’obbligo (ex art 2087 cc) di garantire e mettere a disposizione dei propri lavoratori tutti i dispositivi e presidi idonei e necessari a rendere l’ambiente di lavoro scevro da rischi per la salute.
Tale garanzia è posta non solo a tutela del lavoratore, ma anche di quei soggetti terzi, pure non legati a rapporti di impiego, che vengono in contatto con il dipendente stesso.
Un tanto, vale a maggior ragione dunque per il COVID, che rientra – secondo i parametri dell’art. 268 TUSL e della normativa emergenziale del 2020 – nel gruppo di rischio biologico 3, che comprende ogni tipo di “agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche”, e per il quale dunque si rendono necessari provvedimenti mirati a tutelare tutta la collettività.
Viene posto dunque necessariamente dal Testo Unico l’accento sull’importanza della tutela preventiva, che il datore di lavoro (congiuntamente con il medico responsabile) deve garantire ai propri lavoratori.
Risvolti pratici
In effetti, l’inosservanza infatti di tali obblighi potrebbe addirittura esporre il datore di lavoro al rischio di un’accusa di omicidio colposo o lesione personale colposa.
Quest’ultimo, di conseguenza, non solo non può opporsi alla vaccinazione, ma deve anche concretamente far valutare al medico competente se la mancata somministrazione del vaccino stesso possa implicare inidoneità alla mansione specifica, ditalché si renda necessario lo spostamento del lavoratore a mansioni equivalenti ma “non a contatto con l’agente patogeno”.
In difetto, il lavoratore potrebbe essere assegnato anche a mansioni inferiori pur mantenendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza, oppure – secondo autorevoli pareri – essere licenziato.
La questione, evidentemente, manifesta tutta la sua rilevanza se pensiamo alla vaccinazione dei sanitari, che alcuni invocano come necessaria ed indifferibile, altri ipotizzano come obbligatoria, altri consigliano per “senso di responsabilità” (pur nella vaghezza del significato di responsabilità), altri ancora vedono come minaccia alle libertà individuali.
Che succede, infatti, se entrare in contatto con l’agente patogeno è proprio la caratteristica principale del lavoro professionale del dipendente?
In realtà, e con la massima oggettività possibile, si ritiene che l’ordinamento offra già tutti gli strumenti per dirimere la questione.
Risulta in effetti oggettivo che i sanitari sono tra i più esposti in assoluto al rischio di contrarre il COVID-19, per la massima concentrazione di malati all’interno degli ospedali e perché i sanitari sono i deputati a curare i contagiati.
Nell’arco dell’anno 2020 più volte si è confermato – anche attraverso il triste bollettino dato dai mass media di medici contagiati e deceduti – che il nuovo virus ha colpito duramente la classe medica e tutti i sanitari.
Appare dunque diretto il collegamento con l’art. 268 del TUSL, ed ancor prima con l’obbligo costituzionale di solidarietà sociale che la Repubblica ravvisa come incoercibile e super-individuale, che cioè non può essere rimesso alla scelta (e dunque alla libertà) individuale.
Il vero limite della vita in società, in effetti, è proprio che quest’ultima prevede la propria difesa (e la propria sopravvivenza, in fin dei conti) ancor più ed ancor prima del privato.
Diversamente argomentando, non sarebbero spiegabili (e non sarebbero leciti) istituti come l’incarcerazione (la massima espressione di privazione della libertà, anche a fini di sicurezza sociale) come l’obbligatorietà delle tasse (cioè il prelevamento forzoso di denaro privato, ancora per fini sociali), come il TSO (l’ospedalizzazione coatta di un soggetto per la sicurezza della collettività).
Non pare dubbio, dunque, il diritto-dovere del datore di lavoro Stato ad imporre ai propri lavoratori – in primis ai sanitari, che vivono e lavorano costantemente a contatto con il patogeno – la vaccinazione anti COVID-19, ed eventualmente a destinare i lavoratori che neghino il consenso a mansioni per le quali il contatto con i terzi (pazienti, degenti, ma anche altri lavoratori) sia escluso o ridotto al minimo.
Ciò, ovviamente, non potrà valere tuttavia per chi, per motivi sanitari e momentanei, non può sottoporsi alla vaccinazione (situazione che comunque andrebbe approfondita e che merita un ragionamento a parte), ma certamente rispetto a chi decide di non vaccinarsi senza ragioni cliniche di salute comprovate.
La libertà di autodeterminazione, infatti, è anche questo: comprendere che ogni azione (la scelta di non vaccinarsi) comporta una reazione (la facoltà del datore di lavoro di modificare la mansione, financo demansionare o licenziare), e conseguentemente assumersi in proprio la responsabilità della propria decisione, senza voler spostare le conseguenze sugli altri.