Skip to content

Lo scudo penale è legge: minimo impatto giuridico, massimo impatto mediatico

Lo scudo penale è legge: minimo impatto giuridico, massimo impatto mediatico

Nei giorni scorsi la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato il disegno di legge di conversione del DL 41/2021, più comunemente conosciuto come “scudo penale per i sanitari”.

healthcare medical shield protecting virus to enter

Ecco dunque cosa prevede la nuova legge.

Dopo l’art 1 e l’art. 2, che non riguardano l’attività del sanitario, l’articolo 3 stabilisce che è esclusa la punibilità del sanitario per morte e lesioni personali del paziente a causa della vaccinazione COVID-19, se il medico si è attenuto alle indicazioni e circolari delle autorità (come già prevedeva il Decreto Legge di aprile).

Il nuovo articolo 3-bis, non originariamente previsto dal Decreto Legge ed inserito in sede di conversione, dispone inoltre che durante lo stato di emergenza sanitaria (ad oggi, fino al 31.7.2021), in caso di morte o lesioni personali conseguenti a condotte poste in essere dal sanitario, quest’ultimo è punibile solo per colpa grave, se gli eventi (la morte o le lesioni) trovano causa nella situazione di emergenza.

In questi casi, il giudice dovrà tenere conto, ai fini della valutazione della gravità della colpa, della limitatezza delle conoscenze scientifiche relative al virus ed alle possibili cure, nonché della scarsità delle risorse umane, strumentali e strutturali disponibili.

L’articolo 4 – come già da DL 44/2021 – stabilisce l’obbligo vaccinale per i sanitari: in particolare tutti gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro professione nelle strutture pubbliche e private, nelle farmacie e negli studi professionali dovranno essere sospesi dalla professione (fino alla fine dell’emergenza sanitaria e comunque non oltre il 31 dicembre 2021), ove si sottraggano senza motivo clinico comprovato alla vaccinazione COVID.

La vaccinazione dunque diventa requisito essenziale per l’esercizio della professione.

L’articolo in parola stabilisce una serie articolata di termini – molti dei quali, peraltro, già scaduti tra aprile e maggio – per l’identificazione del personale sanitario e di interesse sanitario non ancora vaccinato, l’invito alla vaccinazione, l’invio di documentazione necessaria ad effettuare o a richiedere il differimento della vaccinazione.

La nuova legge, dunque, conferma lo “scudo penale”, e lo estende ai casi diversi dalla vaccinazione, sia per il trattamento di caso COVID che per la cura dei casi non COVID.

Un particolare, tuttavia, va assolutamente sottolineato: lo scudo non comporta che il medico non possa “essere chiamato a rispondere”, come molti vorrebbero, ma solo che egli non sia punibile: ciò significa che certamente egli potrà essere indagato ed imputato, cioè coinvolto nel processo, con tutto ciò che ne consegue in termini di stress, tempo, energie, timori (proprio per verificare, ad esempio, se ha seguito le indicazioni sulla somministrazione del vaccino), ma non potrà essere condannato – al termine, appunto, del processo penale – qualora si riconosca che non vi è colpa grave.

Ed effettivamente, vista sotto questa luce, la questione assume connotati molto diversi.

Come è stato più volte affermato anche da autorevoli fonti, inoltre, l’impatto concreto dello scudo risulta abbastanza modesto, considerato pure il fatto che già la Legge Gelli, vigente dal 2017, prevedeva e prevede la regolamentazione di tutti i casi contemplati dalla nuova legge, anche se, ovviamente, non specificamente riferiti alla gestione del COVID.

In particolare l’art. 5 della normativa già esistente, nonché la successiva interpretazione da parte della Corte di Cassazione, già legava a doppio filo l’osservanza delle linee guide e delle buone pratiche cliniche con l’esenzione da responsabilità del sanitario.

Addirittura, per converso, già più volte si è ritenuto che la mancata osservanza delle linee guida comporti quasi in automatico il riconoscimento dell’esistenza della colpa grave, proprio come sembrerebbe suggerire il nuovo scudo.

Inoltre, pure la valutazione delle circostanze concrete (insidiosità e mancata conoscenza della patologia e delle cure, insufficienza delle risorse a disposizione, difficoltà delle strutture) rientrava già, doverosamente, tra le valutazioni che era tenuto a svolgere il giudice nella valutazione del caso.

Nell’ultimo anno e mezzo, dallo scoppio della pandemia in poi, anche sotto il fronte civile, sono stati spesi fiumi di inchiostro da giuristi, giudici ed avvocati per chiarire che certamente i casi COVID e NON COVID che i medici e sanitari sono chiamati a gestire e curare sono di straordinaria difficoltà.

Nessuno, infatti, può dubitare che un anno fa venivano sperimentate diverse cure per la cura per i malati COVID, partendo dalla completa (e incolpevole) ignoranza della malattia.

Altrettanto, nessuno può dubitare che non sia stata una decisione facile o presa alla leggera quella di rinviare i tantissimi interventi chirurgici già calendarizzati, per concentrare le (poche) risorse disponibili nella lotta al virus, oltre che per evitare di moltiplicare i contagi, in un momento in cui i tracciamenti non erano purtroppo efficaci.

In definitiva, non si può che confermare l’impressione già espressa al momento dell’emanazione del Decreto Legge di aprile: lo scudo penale è in realtà una sorta di “raccomandazione” agli operatori della giustizia, una richiesta di porre maggiore sensibilità rispetto ad un tema e soprattutto ad una professione, quella medica, già pesantemente messa sotto pressione dalla pandemia.

La Legge è chiaramente e manifestamente incompleta, e risponde più all’esigenza di tranquillizzare i medici, rispetto a quella di creare nuove difese.

Tant’è vero che – a prescindere dall’aspetto penale, che è certamente quello che mediaticamente fa più clamore, ma che in più di 9 casi su 10 si risolve dopo anni con l’assoluzione del medico – il fronte civile, cioè quello delle richieste dei pazienti di risarcimento del danno, non viene minimamente considerato dalla nuova norma.

Il medico è e rimane responsabile per le proprie condotte, a partire – ad esempio – dalla raccolta del consenso informato in seno al procedimento di vaccinazione, passando per la somministrazione di farmaci o la prescrizione di esami per la diagnosi del COVID, arrivando alla cura di pazienti NON COVID, che spesso lamentano ritardi, disagi e disguidi.

Per questo, alcuni autori hanno richiamato l’attenzione sul rischio che, a causa della mole di cause civili che invaderanno i tribunali nei prossimi anni contro le strutture sanitarie e contro i medici, e quindi di conseguenza a causa della moltitudine di risarcimenti che si rischia di pagare, la medicina del territorio e le stesse strutture possano andare in default finanziario… con la conseguenza che, di nuovo, il soggetto più appetibile per chiedere i danni diventi (o rimanga) il medico in prima persona.

Articoli Correlati