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Primario e Dirigente: due posizioni ad alta esposizione

Primario e Dirigente: due posizioni ad alta esposizione

Molto spesso accade che i pazienti che ritengono di aver subito un danno da malpractice medica, denuncino e chiedano il risarcimento dei danni che ritengono di aver patito anche al primario del reparto o al dirigente dell’unità operativa presso cui il paziente stesso è stato ricoverato.

Perché questo accade?

Perché, secondo la normativa di settore (tra cui spiccano il DPR 128/1969; DPR 761/1979; D. LGS 502/1992; CCNL del 06.05.2010) il primario/dirigente di struttura complessa ha il compito, tra gli altri, di dettare le direttive generiche e specifiche dell’unità di cui è a capo, verificare l’attività autonoma e delegata dei medici addetti alla struttura, e gli spetta “in via generale la cura di tutti i malati affidati alla compagine da lui diretta, oltre che l’organizzazione generale di tale struttura”, per mutuare le parole della Cassazione.

In definitiva, sembrerebbe, se “qualcosa va storto” è sempre colpa del primario.

Ma è proprio così?

In realtà la giurisprudenza, consapevole degli eccessi a cui si era giunti, da qualche anno sta tentando di meglio definire le ipotesi in cui si può ravvedere 

una responsabilità del primario per “omessa vigilanza o controllo o mancanza di direttive”, distinguendole dagli altri casi in cui, non essendovi nessun legame tra la condotta del primario e le lesioni del paziente, il dirigente va assolto da ogni richiesta del paziente stesso.

primario e dirigente medico

Non si può, insomma, ipotizzare una responsabilità del primario a prescindere da qualsiasi valutazione sulla colpevolezza nel caso concreto, perché in questo modo si rischierebbe di ritenere responsabile un primario sempre e comunque, per la sola funzione che egli ricopre, e la responsabilità diventerebbe una mera “punizione” legata appunto al ruolo e non alla condotta specifica (v. Cass. Civ Sez. III, n. 6438/2015).

Recentemente, poi, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire: “allorché il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria struttura, di detto evento deve rispondere eventualmente unicamente il medico o i medici subordinati. Ravvisare infatti una responsabilità penale del medico in posizione apicale anche in questi casi significa accettare una ipotesi di responsabilità per posizione, in quanto non può pretendersi che il vertice di un reparto possa controllare costantemente tutte le attività che ivi vengono svolte, anche per la ragione, del tutto ovvia, che anch’egli svolge attività tecnico- professionale. In tal caso, appare evidente il rischio di contrasto col principio di responsabilità penale personale, ex art. 27, comma I Cost.” (così, Cass. Pen. 18334/18).

Una vittoria?

In realtà, NI.

La sentenza certamente è un passo in avanti rispetto alle tesi per le quali il primario sarebbe sempre e comunque responsabile.

Nondimeno la stessa sentenza del 2018 elenca una lunga serie di incombenze per il dirigente, e lo esonera da responsabilità solo se egli ha (prioritariamente) correttamente svolto tutti i propri obblighi organizzativi e direttivi.

Considerato, poi, che talvolta è difficoltoso provare l’adempimento (o l’inadempimento) di questi obblighi di controllo e sorveglianza (si pensi alle condotte negative!), la sentenza certamente non mette il primario al riparo dalle cause, ma semmai dalle condanne.

Come a dire: intanto il paziente fa causa, e poi casomai si vedrà la responsabilità e il risarcimento.

Serviranno, dunque, molti altri passi avanti per chiarire la situazione e per tutelare effettivamente il medico, per preservarlo fin dall’inizio e non coinvolgerlo (spesso inutilmente) nel bailamme di infinite cause civili e penali.

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