Lo strano caso del vaccino Covid-19
Nelle scorse settimane si sono verificate delle morti definite come “sospette” a seguito della somministrazione del vaccino COVID-19 prodotto e distribuito da Astra-Zeneca, che hanno portato alcune Procure della Repubblica ad iscrivere nel registro degli indagati, tra gli altri, i medici ed i sanitari che avevano inoculato i vaccini COVID-19 alle persone poi decedute.
In casi come questi, per sedare le polemiche e le contestazioni, spesso, si risponde che l’apertura delle indagini con la relativa iscrizione nel registro degli indagati è “un atto dovuto”, e che pertanto non c’è motivo di allarmarsi.
Ma è proprio così?
È bene fare una premessa per inquadrare la situazione.
In generale, quando perviene all’attenzione del Pubblico Ministero la notizia di un evento che potrebbe configurare un reato, questi deve trascriverne gli elementi salienti in uno dei tre registri che ha avanti a sé:
- quello dei fatti che non integrano reato;
- quello dei fatti che configurano reato, riconducibile però a soggetti ancora non certi né identificati/identificabili allo stato (ignoti);
- quello dei fatti che configurano un reato commesso da un soggetto già noto ed identificato, appunto il registro degli indagati.
Invero, negli anni si è assistito ad una massiccia iscrizione nel registro degli indagati (quindi, a carico di soggetti determinati) delle notizie di reato, a discapito dell’iscrizione negli altri 2 registri, talvolta per una valutazione frettolosa del caso, talaltra per un’idea “garantista” nei confronti della parte lesa e dello stesso indagato, che – come tale – può immediatamente partecipare a tutti gli atti cosiddetti irripetibili che svolge il PM, primo tra tutti l’incarico per svolgere l’autopsia del deceduto.
Nell’ultimo periodo, tuttavia, un’interessante circolare del Ministero della Giustizia (11.11.2016), citata peraltro spesso da circolari di varie Procure della Repubblica, ha richiamato l’attenzione sulla delicatezza della scelta del PM tra l’iscrizione nei tre diversi
registri, escludendo ogni automatismo, come d’altra parte la stessa legge impone (art. 109 disp att cpp).
Così, ad esempio, la Procura presso il Tribunale di Cuneo ha evidenziato che si deve procedere con l’iscrizione nei confronti di soggetti noti (registro degli indagati) “soltanto quando nei confronti di una persona individuata emergano specifici elementi indizianti e non semplici sospetti, ossia quando sussistano a carico di taluno elementi essenziali di un fatto qualificabile quale reato unitamente alle relative fonti di prova. Si richiama, in tema, quanto alla nota circolare ministeriale 11.11.2016, sull’esigenza di non procedere ad annotazioni frettolose nel registro dedicato agli indagati noti, poiché “un’iscrizione affrettata nel registro delle notizie di reato a carico di noti può comportare immediati pregiudizi, in termini di tranquillità, onorabilità, affidabilità contrattuale delle persone e degli enti interessati” (circ. 49 del 18.12.2019).
Sulla stessa linea la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma ha affermato che: “se invero è evidente la funzione di garanzia che riveste l’iscrizione all’interno del procedimento, non può essere trascurato che la condizione di indagato è connotata altresì da aspetti innegabilmente negativi. … Si dispiegano, per la persona indagata, effetti pregiudizievoli non indifferenti sia sotto il profilo professionale, sia in termini di reputazione” (circ. 3225 del 2.10.2017).
Ebbene, allora forse nel caso che riguarda i vaccini Astra-Zeneca si sarebbe potuto procedere diversamente, ad esempio non dando per scontato che vi fosse un reato, o ipotizzando non solo la eventualo e scorrettezza della condotta del medico che aveva direttamente inoculato il vaccino, ma invece la non corretta produzione del vaccino, o l’alterazione del vaccino per la non tenuta della catena del freddo… insomma, iscrivendo gli eventi avversi negli altri registri, salva poi la facoltà del PM, a seguito dei doverosi approfondimenti tecnici, di iscrivere effettivamente nel registro degli indagati quel determinato medico che aveva effettivamente sbagliato a somministrare il vaccino, ovvero le persone che con una condotta colposa avevano contribuito a determinare l’evento.
Vi è in effetti oggi il rischio di creare non solo effetti negativi per i medici/sanitari concretamente indagati, ma addirittura – come pare stia succedendo oggi – un allarme sociale che si riverbera su tutta la popolazione (basti pensare alla pioggia di disdette dalle
prenotazioni) e soprattutto sul personale sanitario e sui medici, che vengono costretti a svolgere un servizio essenziale in una condizione attaccabile e molto fragile.
In realtà, per quanto ciò possa risultare impopolare e difficile da accettare, la soluzione a questo problema non è lo scudo penale che molti invocano a favore di chi opera in sanità.
Seppure, infatti, si tratta di un’ipotesi armata delle migliori intenzioni, raggiungerebbe invero l’effetto opposto.
Infatti, da un lato ciò sosterrebbe l’idea che il personale sanitario abbia bisogno dello scudo perché sta facendo qualcosa di pericoloso per i pazienti (con ciò, tra l’altro, allontanando ulteriormente la figura dell’operatore sanitario da quella del paziente, rendendolo quasi un nemico), dall’altro la normativa speciale verrebbe bloccata da elementi di probabile (se non certa) incostituzionalità, perché non è ipotizzabile prevedere “a monte” ed in modo selettivo una determinata impunità, che, tra l’altro, renderebbe difficile alla giustizia fare il proprio corso nel caso in cui effettivamente qualcuno abbia tenuto una condotta negligente nel somministrare il vaccino.
La soluzione, allora, risiede nel più difficile equo bilanciamento tra i diritti del medico ed i diritti della parte lesa, nel rispetto dello spirito della normativa, al di là dell’interpretazione formalistica, proprio come la circolare del Ministero della Giustizia ha evidenziato.
Avv. Maria Cristina Motta
Avv. Rossana Miotto